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N.2/2012 Parlamento ed enti locali per un’ Europa diversa

PARLAMENTO EUROPEO ED ENTI LOCALI PER UN’EUROPA DIVERSA
È stato Marco Doria ad aprire l’incontro “Garantire un futuro all’euro e all’Unione europea” che il Centro In Europa ha

organizzato presso la Sala della Giunta nuova di Palazzo Tursi venerdì  scorso, 22 giugno. Si trattava di un incontro,

destinato ai soci del Centro In Europa e ai nuovi consiglieri comunali e municipali, su un tema di estrema attualità.

All’incontro ha preso parte anche il vicesindaco Stefano Bernini e l’assessore all’ambiente Valeria Garotta.
Il sindaco ha espresso chiaramente due messaggi: occorre rimanere rigorosamente nel perimetro dell’Unione europea, pur

nella diversità delle risposte agli imperativi del rigore e della crescita; è necessario impegnarsi perché anche in Italia,

come è già accaduto in Francia, sia garantita ai cittadini la possibilità di contare su orientamenti politici alternativi.
Simone Farello, capogruppo del Partito democratico in Consiglio comunale, co-organizzatore dell’evento, ha ricordato nella

sua introduzione come le sorti dell’Unione europea ricordino la parabola degli enti locali: da rappresentanti per

eccellenza dei cittadini, alla fine degli anni Novanta, sono diventati livelli di governo messi in discussione proprio da

loro. La fiducia dei cittadini va riconquistata.
Carlotta Gualco, direttore del Centro In Europa ha ricordato l’estrema attualità del tema europeo, e quindi la necessità di

farne argomento di discussione politica, a tutti i livelli, ed elemento del patrimonio culturale di ciascuno. Per questo

vanno promossi momenti di discussione, avvalendosi della collaborazione dei parlamentari europei e di persone come Anna

Colombo, del Centro In Europa e di strumenti di cui dispone il Comune come l’Antenna Europe Direct.
Per Sergio Cofferati l’Europa deve diventare un tema prioritario nella prossima campagna elettorale nazionale, dal momento

che diversi soggetti (come l’ex presidente del Consiglio italiano Berlusconi) hanno messo in discussione la permanenza

dell’Italia nell’euro. Il tema centrale è oggi quello della crescita che manca, e deve invece essere stimolata con

politiche keynesiane, maggiormente incisive dell’attuale deludente piano italiano per lo sviluppo. Occorre fare dell’Unione

europea un argomento di maggior fascino, anche ideale, proponendo un rafforzamento dell’unione politica e accrescendone la

democraticità, dando vita ad esempio a partiti politici finalmente europei. Maggiore democrazia e partecipazione sono gli

strumenti per rilanciare l’integrazione europea.
Anna Colombo, genovese, segretario generale del Gruppo dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento europeo, dal 1987 a

Bruxelles, città dove è candidata alle elezioni comunali del prossimo autunno,  ha esordito ricordando la responsabilità

dei governi di centro sinistra, che allora prevalenti in Europa, alla fine degli anni Novanta, pur in presenza di una

crescita sostenuta, si fecero sfuggire l’occasione per realizzare un’autentica riforma dell’UE che ne accrescesse la

sovranità in ambito economico e ne favorisse una identità politica, pur frutto dell’incontro di diverse visioni. In realtà,

al di là di riforme nazionali, i progressisti si sono divisi sui temi della globalizzazione e della regolazione del

mercato. È importante ricordarlo, per non cedere nuovamente a lusinghe liberiste che, pur avendoci condotto alla gravissima

situazione attuale, sono oggi riproposte in Italia da alcuni giovani sindaci del centrosinistra.
Anna Colombo  si è detta “realisticamente e moderatamente ottimista” sull’esito del Consiglio europeo del 28-29 giugno. Se

questa crisi sarà superata, un grande avanzamento seguirà ai passi già significativi compiuti dall’Europa con la moneta

unica, l’allargamento, il Trattato di Lisbona e  il rafforzamento del Parlamento europeo. Si dovrà compiere un “salto di

qualità” – attraverso una nuova conferenza intergovernativa, una nuova convenzione – che dia all’UE maggiori poteri

sovranazionali. Non è però questo il momento di farlo, e soprattutto proporlo ai cittadini, che non accetterebbero oggi

nuove cessioni di sovranità. Oggi, a trattati invariati, l’Europa deve essere in grado di salvare l’euro e dare ai

cittadini le risposte che si aspettano in termini di lavoro, crescita ed equità sociale. Solo allora potrà essere lanciato

“il cuore oltre l’ostacolo” creando un’Europa più forte.
Si colgono alcuni segnali preoccupanti. Il primo è un’interpretazione restrittiva, da parte del Consiglio europeo, del

Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone relativamente alla possibilità di chiudere le frontiere

nazionali.  Soprattutto è allarmante  la volontà degli Stati di rinazionalizzare – e quindi rendere maggiormente

intergovernative – le procedure decisionali relative alla sua sospensione.
Un altro segnale negativo proviene dalla discussione sul nuovo quadro finanziario pluriennale della UE (2014-2020), che

come è noto, ha un impatto significativo non solo sugli Stati ma anche su regioni e comuni.  Il bilancio europeo, certo di

importo limitato rispetto ai bilanci nazionali è comunque uno strumento di investimento e di crescita per definizione, il

cui 96% torna agli Stati. Ebbene, alcuni Paesi non solo non intendono aumentarlo, come sarebbe invece necessario a fronte

di accresciute competenze della UE, attraverso l’utilizzo di risorse proprie (strumenti come la tassa sulle transazioni

finanziarie) ma premono per una sua drastica diminuzione.
Il Parlamento europeo e le forze progressiste al suo interno, che maggiormente sostengono una visione di crescita e di

solidarietà, spesso subiscono per questo l’opposizione dei governi nazionali, che tentano di ridurne i poteri come nei casi

appena citati.
L’Europa sta perdendo rilevanza: se negli anni ’50 la UE contava il 12% della popolazione mondiale, e il 50% della

ricchezza complessiva, tale proporzione si è ridotta nell’anno in corso rispettivamente all’8 e al 25-30%; le proiezioni al

2050 riducono ulteriormente il suo peso, con il 4% della popolazione e il 10% della ricchezza.
Anche per questa ragione è poco credibile che la Germania possa farcela da sola, come la cancelliera Merkel sta cercando di

convincere i suoi cittadini, sempre più euroscettici e sempre meno disposti a sostenere politiche di solidarietà nei

confronti della Grecia e di altri Paesi in difficoltà. L’uscita della Grecia dall’euro sarebbe una catastrofe. Eppure non

c’è Paese che come la Germania abbia tratto vantaggi dalla moneta unica, e l’SPD sta cercando di spiegarlo ai propri

elettori.
Il cammino fino ad ora percorso dalla UE nella gestione della crisi è consistito sostanzialmente in provvedimenti

finalizzati al rigore (come il Six Packs o il Two Packs) ma siamo ben lontani da un’Europa in grado di coordinare le

politiche macroeconomiche dei suoi Stati, decidere investimenti comuni in ricerca e sviluppo, promuovere modelli sociali

diversi ma comunque improntati all’inclusione, realizzare una vera politica industriale, una politica commerciale comune.

Chi produrrà in Europa? Solo la Germania? Sono queste, oggi, le grandi questioni dell’Unione europea. Non va dimenticato

che l’Europa può assumere forme diverse, a seconda di visioni politiche differenti.
L’Europa ha toccato il fondo. Ora dovremmo essere in grado di risalire la china. La situazione in alcuni Paesi – come il

Belgio, la Romania, la Slovacchia – è cambiata. Sono stati intrapresi passi importanti verso l’equità sociale e la

crescita. L’elemento fondamentale è il cambiamento in Francia: con una solida maggioranza al suo interno, il presidente

Hollande sarà veramente capace di stupirci: il suo memorandum per il Consiglio europeo di fine mese coniuga effettivamente

crescita e rigore, con un dosaggio interessante di politiche nazionali ed europee, comprese alcune cessioni di sovranità.  

Finalmente, dopo anni, si ritorna a parlare di politica industriale in Europa, di lavoro di qualità, di salute e sicurezza,

di Europa sociale, di dialogo sociale. Il tema della stabilità è collegato al controllo e all’eventuale sostegno delle

banche svolto da autorità europee (in modo da non gravare i bilanci nazionali), attraverso quella che impropriamente viene

definita “unione bancaria”.
Un segnale positivo è che le prossime elezioni per il Parlamento europeo, che si svolgeranno nel 2014, assumeranno un

carattere maggiormente europeo. Partito socialista francese, SPD e Partito democratico stanno oggi lavorando insieme, nei

rispettivi Paesi, per fare di queste elezioni un’autentica campagna europea, che metta cioè al centro priorità europee e

non nazionali.
In conclusione, da alcuni Paesi europei e da alcune decisioni del Parlamento europeo, ancora dominato dalle forze di

centrodestra, giungono segnali incoraggianti su un cambiamento di orientamento sulle risposte da dare alla crisi. È

necessaria una mobilitazione generale di tutti i livelli di cittadinanza, militanza e istituzionali – e per questo anche

l’iniziativa di oggi è importante – perché è assolutamente necessario non solo investire su più Europa ma anche su

un’Europa diversa.
È seguita una discussione, durante la quale sono intervenuti Giuliano Fierro, Alberto Canevali, Michele Cozza, Roberto

Speciale, Walter Rapetti, Paolo Perfigli e Filippo Giugni.
Come Anna Colombo, Sergio Cofferati e Simone Farello – che lo ha affermato nelle conclusioni dell’incontro – vorremmo che

il dibattito sull’Europa – presente e futura – continui e coinvolga per quanto possibile i consiglieri comunali e

municipali, che hanno un “ruolo di prossimità” essenziale verso i cittadini. Il Centro In Europa dà la sua disponibilità a

proseguire questo lavoro. Le scelte sull’Europa, ormai è chiaro, ci riguardano tutti.
C. G. 

 
 
 
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