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n.3/2011 Intervento di Bruno Sessarego su Amt al Gruppo Città

21/6/2011

L’esposizione:
Il servizio di trasporto pubblico locale è una componente essenziale dell’assetto organizzativo equo di una comunità moderna, anche se c’è chi persiste ancora a considerarlo il surrogato povero del trasporto privato individuale per chi non ha alternative. E, però, oggi, è utilizzato sempre di più anche da chi potrebbe permettersi il mezzo privato. Da chi lo trova, evidentemente, più conveniente e sceglie di utilizzare, ad esempio, mezzi che, come le metropolitane, garantiscono rapidità e tempi certi nelle grandi città trafficate.
L’Italia è tra quei paesi europei che, come la Francia, applica tariffe politiche, cioè con importi che non hanno l’obiettivo di controbilanciare i costi, ma di garantire un uso generalizzato del servizio, in particolare ai redditi più bassi. Se si dovesse seguire la logica britannica o svedese, gli importi dei biglietti dovrebbero essere triplicati o quadruplicati. L’impostazione italiana rende, quindi, necessario il ricorso a sussidi statali. Tuttavia mancano meccanismi di adeguamento degli introiti alla dinamica dei costi che, nel settore, è più forte di quella generale. Le amministrazioni sono restie all’aumento delle tariffe e lo stato, per parte sua, tende a ridurre i propri contributi per le difficoltà generali.
Ma pur in questo quadro di difficoltà l’impostazione italiana resiste. Anche perché, con il trasporto pubblico, abbiamo a che fare con un potente strumento di perequazione sociale e sviluppo economico. Ne discende che la regia pubblica del servizio di trasporto pubblico è irrinunciabile. Non è invece altrettanto evidente che l’amministrazione pubblica sia il soggetto più idoneo per tradurre in risposta operativa di mezzi e uomini l’organizzazione e la gestione del servizio. In tempi di risorse scarse si pone l’esigenza di una gestione delle aziende, più vicina a quella del privato, poiché a quest’ultimo si riconosce una miglior attitudine all’uso efficiente delle risorse. In questa logica la “politica” individua e definisce il servizio da erogarsi e una struttura di tipo “privato” assume l’obiettivo di fornirlo in maniera efficiente.
Su queste basi l’AMT, tra 2005 e 2011, è stata oggetto di una parziale privatizzazione. Transdev, un importante operatore francese del settore ha acquisito dal Comune di Genova il 41% delle azioni della società e ne ha assunto la responsabilità gestionale. In un patto parasociale sono stati definiti la governance della società, l’apporto manageriale e di assistenza tecnica del privato, impegni e ruoli  dei due soci. Il perimetro del servizio da erogare è stato stabilito dal Comune e regolato da un Contratto di Servizio con AMT nel ruolo di fornitore ed il Comune in quello di cliente.
La formula di partenza si è rivelata perfettibile, tanto è vero che lungo il percorso sono state introdotte significative correzioni. Con il 2011, a seguito dei problemi insorti tra i soci per la difficoltà del Comune di sostenere un piano a pareggio, anche a seguito della Manovra Tremonti, questa partnership, nella quale, nel frattempo Transdev era stata sostituita da RATP, si è conclusa. Sarebbe tuttavia un grave errore considerare l’esperienza fallita senza tentare di comprendere le ragioni dell’uscita del socio privato.
E’ utile ripercorrere sinteticamente le problematiche fondamentali della storia recente dell’azienda. Il servizio urbano è rimasto, negli ultimi 15 anni pressoché costante. Il costo complessivo del trasporto pubblico in capo al Comune di Genova che, negli anni 1995-2007 era di circa 37 milioni di euro, è diminuito di circa 10 milioni successivamente all’esternalizzazione e successiva reinternalizzazione delle attività di manutenzione. I costi di AMT (deinflazionati e senza AMI) sono diminuiti di circa 6 milioni di euro tra il 2005 e il 2008. Parallelamente sono costantemente diminuiti i finanziamenti pubblici. Nel 1995 AMT riceveva circa 210 miliardi di lire. Tradotto in euro significa circa 108 milioni che, inflazionati a oggi, valgono 180 milioni, il doppio di ciò che AMT riceve attualmente. La progressiva riduzione delle disponibilità ha costretto a reperire risorse vendendo pezzi significativi del patrimonio, prima le Dighe del Brugneto, poi la Rimessa di Boccadasse ed infine l’Officina Guglielmetti. Il Comune attualmente spende oltre 20 Mni per finanziare l’esercizio e circa 30 Mni per pagare il debito pregresso sul tpl. Il paradosso è che, se tutte queste risorse potessero essere utilizzate per il presente, si arriverebbe a coprire tutto il fabbisogno.
Tra 2009 e 2010, già prima degli effetti della manovra finanziaria, l’Azienda, prevedeva, per il 2011, un ulteriore di fabbisogno pari a 15 milioni di euro (9 milioni di euro per il rientro delle attività di manutenzione, 2 milioni di euro per la diminuzione di passeggeri, 3 milioni di euro per il costo del lavoro, 1 milione di euro per il costo del carburante). Per far fronte a questa situazione l’Azienda ha predisposto un piano industriale mirato all’efficienza aziendale, alla razionalizzazione della rete e alla revisione tariffaria. Questo piano, definito a cavallo tra 2009 e 2010, non è mai stato attuato perché il Comune ha approvato la razionalizzazione della rete solo più tardi e parzialmente a metà 2011, con il che facendo accumulare ad AMT perdite pari a oltre 1/2 milioni di euro al mese per tutto il periodo intercorso.
Con la manovra finanziaria Tremonti sono stati tagliati fondi pari a 9 milioni di euro: quindi, il fabbisogno aziendale a pareggio è salito a 24 milioni. Ciò ha costretto AMT a rimodulare il piano industriale con l’obiettivo di recuperare a regime 6/7 milioni dall’adeguamento tariffario, 8/9 milioni dalla riduzione della rete di servizio (pari a 3 milioni di km) e 8/9 milioni da produttività interna. Questo percorso è stato oggetto di un accordo sottoscritto il 22 novembre 2010 tra Regione, Comune, AMT, Confservizi Liguria e sindacato nel quale tutti i soggetti firmatari si impegnavano a fare la loro parte per raggiungere gli obiettivi. In particolare la Regione ha messo a disposizione fondi cospicui (5 milioni di euro) per favorire l’esodo di circa 200 addetti e consentire di ridurre l’organico aziendale.
Questo piano industriale è stato concordato con il Comune, a livello politico e tecnico in tutti i suoi aspetti. Tuttavia è stato attuato solo per la parte relativa all’adeguamento tariffario. Il sindacato, infatti, da subito, ha ostacolato la riduzione della rete in nome di una presupposta sensibilità verso i cittadini, confidando in una alleanza, di fatto, con le previste resistenze del territorio. In realtà  le motivazioni erano altre: la paventata riduzione dei turni più graditi dal personale, perché meno impattanti sul tempo libero, e, soprattutto, il timore di arrivare alla terza fase, quella dell’aumento della produttività aziendale.
Così, mentre l’azienda, promuoveva sul territorio l’esigenza di procedere sulla strada, sia pur difficile, concordata con il Comune e otteneva un sostanziale via libera dai Municipi, a fronte dell’impegno ad attuare un certo numero di correzioni alla proposta, si intrattenevano contatti paralleli con la stessa amministrazione su basi completamente diverse. Cioè veniva prima concordata una riduzione dell’intervento sulla rete (da 3 milioni di km a 1,5) che poi ha portato, il 7 giugno, a sottoscrivere, tra sindaco e sindacato, un accordo che disattende completamente le linee stabilite dal piano industriale. I recuperi di produttività previsti sono scomparsi e le uscite dei 200 addetti non daranno luogo ad una riduzione dell’organico perché il ridotto intervento effettuato sulla rete non lo consente. E, quindi, si prevede di rimpiazzare le uscite con nuove assunzioni, con il che vanificando l’obiettivo di ridurre l’organico.
Con la mancata attuazione del piano, l’azienda si avvia verso un fabbisogno annuale che, a seguito dell’aumento di alcuni costi, procede ancora verso i 20 milioni di euro. Gli eventuali, ulteriori, contributi della Regione non potranno risolvere, da soli, il problema. RATP è uscita, per la difficoltà del Comune di portare avanti i piani concordati e a fronte della conseguente necessità oggettiva di procedere ad un rifinanziamento dell’azienda. All’inizio del 2013 il Comune dovrà anche restituire i 22 milioni del pacchetto azionario all’ex socio. E con tutta probabilità, per superare le sue difficoltà, indirà una gara richiedendo ad un nuovo socio in arrivo almeno quella stessa cifra.
Il bilancio finale di queste considerazioni è che i problemi di oggi di AMT sono la conseguenza di un sistema di finanziamento nazionale inadeguato e della mancata assunzione, da parte del Comune, di decisioni difficili. Tuttavia alle difficoltà oggettive dell’amministrazione, si somma la sua ricerca del consenso, in particolare sindacale, anche quando in forte contrasto con le esigenze di risanamento del sistema; al punto di riuscire a far “pagare” di più i cittadini, ma non a far “lavorare” di più i dipendenti di AMT. In queste condizioni, nessuna azienda può funzionare, tanto meno il modello pubblico/privato che si pone come obiettivo primario l’efficiente gestione delle risorse.

La discussione:
La discussione ha toccato alcuni temi non affrontati o solo sfiorati nell’esposizione. In particolare è stato chiesto se i nuovi finanziamenti regionali di cui si parla in questi giorni potranno portare sollievo ad AMT. Il problema è che, ad oggi, non si sa se questi finanziamenti saranno effettivamente stanziati ed a quanto ammonteranno. Poi c’è la questione di principio legata al fatto che la Regione sostiene che i fondi per gli ultimi finanziamenti ad AMT sono stati sottratti ad altri settori e, quindi, se può, intende riequilibrare. Infine la scelta del Comune di bloccare l’attuazione del piano industriale di AMT fa sì che le altre aziende liguri che hanno, invece, attuato i loro non vedano bene l’ipotesi di nuovi fondi per Genova.
Altra domanda sollevata è stata se c’è una percezione su dove si colloca AMT rispetto ad altre aziende del settore in termini di servizio e di costi di produzione. La risposta è che i livelli di servizio sono paragonabili a quelli delle aziende migliori e addirittura la penetrazione territoriale e le fasce orarie coperte appaiono superiori a quelle della maggior parte delle aziende. Un confronto tra i costi delle aziende è difficile perché le aziende sono restie a fornire i dati e, quando ci sono, sono difficilmente confrontabili. Infatti molte aziende hanno servizio urbano ed extraurbano (che hanno costi diversi), alcune hanno attività collaterali, ad esempio la gestione dei parcheggi o altro. Tutte, comunque, operano in condizioni territoriali, dimensionali, di traffico, peculiari che, in mancanza della messa a punto di parametri oggettivi, costituiscono una barriera al confronto. La mancanza di parametri oggettivi di confronto è un problema grave che si potrà risolvere solo a valle della definizione di costi standard oggettivi ammissibili per ciascuna azienda. In questo modo sarà anche possibile misurare le performance del management. Tutto ciò premesso si può dire che i costi di produzione di AMT sono alti e, sostanzialmente,  in linea con quelli delle grandi aziende, superiori del 20% ai costi del contratto nazionale per effetto della contrattazione aziendale.
Infine si è accennato alle questioni connesse alla metropolitana. L’allungamento a Brignole avverrà con molte problematicità perché in ritardo rispetto alle previsioni (2013) e perché i mezzi nuovi che saranno disponibili dopo l’apertura saranno insufficienti a far fronte alla domanda. Si parla di sette mezzi forniti in un arco temporale di un anno, là ove ne servirebbero 14 da subito. Sarà quindi molto problematico, con il parco disponibile, fornire un servizio adeguato. Se succederà come nella tratta Sant’Agostino – De Ferrari che l’afflusso di passeggeri sarà superiore a quello previsto prima, il problema sarà ancora più spinoso. In queste condizioni, in concomitanza con l’apertura della nuova tratta, non si potrà procedere alla ristrutturazione della rete di superficie (bus) come era stato previsto.

Bruno Sessarego

 
 
 
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