“Non si può più assistere al degrado della Rai. Non si può avvallare una gestione irresponsabile che squalifica il servizio pubblico … È arrivato davvero il momento di cambiare”: Così Pierluigi Bersani, con un articolo pubblicato a metà giugno da Il Corriere della Sera. E un primo disegno di legge preparato dal Forum per la riforma del sistema radiotelevisivo che presiedo, a firma Bersani, è stato depositato alla Camera giusto in tempo perché possa in teoria essere calendarizzato nell’autunno.
Ora personalmente considero l’intervento sulla governance della Rai una assoluta priorità. Sono convinto, infatti, che il servizio pubblico stia attraversando una fase di profonda criticità sia sul piano della credibilità e sia sul piano della qualità dell’offerta, sia infine sul piano del conto economico. E questo nel momento della transizione dall’analogico al digitale. Siamo in presenza, infatti, di una rivoluzione tecnologica straordinaria, indotta anche dalla necessità di accelerare la diffusione delle nuove tecnologie, delle nuove piattaforme tecnologiche e in particolare della banda larga in tutto il Paese.
Da qui l’idea di un primo urgente – e minimo – intervento sulle regole per il governo della Rai. L’attuale assetto – figlio di un’altra epoca – non funziona, gira a vuoto, perde colpi, fa perdere immagine e credibilità al servizio pubblico.
L’attuale legge affida formalmente al Direttore generale il compito di capo azienda. E tuttavia assoggetta di fatto il suo potere di proposta al controllo pervasivo del Consiglio di amministrazione, al punto che si è finito per parlare di “un amministratore delegato collettivo”. E’ già questa di per sé una grande anomalia (non esiste nessuna azienda al mondo governata e governabile da “un amministratore delegato collettivo”), alla quale va aggiunta un’altra anomalia, la stretta dipendenza della Rai dalla volontà del governo e delle segreterie dei singoli partiti, in proporzione alla loro forza parlamentare.
Alla politica spetta il compito alto e ambizioso di definire la missione del servizio pubblico e di controllare che i principi di autonomia, di indipendenza e di pluralismo siano rispettati. Non tocca ai partiti – e tanto meno al governo – entrare nella gestione aziendale, nella scelta dei singoli dirigenti e direttori. Sulla base di una logica spartitoria o lottizzatoria che per altro ha dato e sta dando cattiva prova di sé.
Questo primo disegno di legge prevede interventi chirurgici sull’attuale normativa. L’obiettivo è di raccogliere il consenso del più grande numero possibile di parlamentari, almeno di tutti quelli che avvertono il bisogno di difendere il servizio pubblico, di rilanciarlo, di metterlo nella condizione di affrontare la nuova stagione di cambiamento.
Abbiamo scelto la via del codice civile per le società per azioni. Con una sola evidente differenza – giustificata dalla necessità di garantire il massimo di equilibrio e di pluralismo: la proposta di nominare un amministratore delegato da parte sì dell’azionista (che per ora resta il Tesoro) ma con il voto favorevole di sei dei restanti otto consiglieri di amministrazione. E all’amministratore delegato vanno affidati ampi poteri gestionali, ampia deleghe, con l’obbligo di sottoporre al cda l’approvazione del bilancio, del piano editoriale e del piano industriale. Abbiamo anche immaginato che alla scadenza dei primi 180 giorni di gestione, dal momento della prima nomina, l’amministratore delegato sottoponga al Consiglio un progetto di riorganizzazione di tutto il servizio pubblico, avvalendosi di un comitato di gestione consultivo composto dai dirigenti di prima fascia della Rai, compresi i direttori di rete e di testate giornalistiche, da cui far passare le nomine e le revoche dei posti di massima responsabilità e l’elaborazione di strategie il più possibile condivise.
Il Consiglio è composto come oggi da nove membri, di cui uno è l’Amministratore Delegato. Gli altri otto sono scelti nel modo seguente: quattro dalla Commissione di Vigilanza, due dalla Conferenza Stato – Regioni, due dall’Anci, con l’idea di cominciare a introdurre nel Consiglio della Rai anche rappresentanze e sensibilità dei territori.
Come si vede, non si tratta di una rivoluzione. Siamo consapevoli di essere oggi all’opposizione e vogliamo essere realisti, vogliamo tenere i piedi per terra, rifiutando proposte demagogiche oppure anche solo più articolate e magari più coraggiose nel portare avanti il cambiamento. Qualcuno – anche dell’opposizione di sinistra – potrà obiettare che abbuiamo “partorito un topolino”! Vorrei ricordare a tutti la favola del topolino e dell’elefante: a volte un piccolo può mettere in difficoltà un grande. Se sa muoversi bene!
Deve essere chiaro a tutti, d’altra parte, che a questo primo ddl intendiamo affiancare un secondo disegno di legge molto più articolato e che stiamo sottoponendo a esperti del settore, a organizzazioni sindacali, all’opinione pubblica, a tutti i membri del Forum che presiedo.
Carlo Rognoni