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n.4/2010 A questa Europa manca l’Italia

Di
Filippo
Giugni

Le
vicende relative alla crisi economica greca rappresentano il problema
più recente che l’Europa si trova ad affrontare con difficoltà.
Da tempo quello slancio che aveva caratterizzato per decenni la
costruzione dell’Europa sembra calato. Eppure l’Europa ha fatto
grandi passi , continua a darsi grandi obiettivi ed è oggetto di
grandi attese.

Talvolta
sembra esserci un grande divario tra le intenzioni espresse dagli
organismi europei e la dura realtà dei limiti e delle priorità che
gli stati nazionali sembrano porre, soprattutto di fronte
all’affacciarsi dei problemi epocali che caratterizzano il nostro
tempo.

Perché
non è possibile tornare allo spirito originario? L’aumentato
numero di stati membri, l’ineguale peso demografico, economico e
politico, la palese carenza della dimensione economica di fronte a
sfide che sono prettamente politiche?

In
realtà l’idea di Europa è ancora viva e attraente, e non solo per
ragioni economiche. Sono i valori che tengono insieme l’Unione, il
riferimento a modalità comuni nel trattare i propri cittadini da
parte degli stati nazionali, la possibilità di operare in un
orizzonte più vasto che mette al riparo le comunità nazionali dalle
incertezze politiche, economiche, militari del mondo di oggi.

Ma
oggi l’Europa corre un rischio esiziale per l’idea originaria di
una casa comune. È quello di diventare una sorta di “ombrello”
sotto al quale gli stati nazionali si riparano, cercando di ottenere
il massimo vantaggio e rinunciando il meno possibile alle prerogative
nazionali, viste più come una sorta di protettorato tacitamente
accettato verso i paesi di maggior peso, con un occhio al suggestivo
americano e alle opportunità del mercato russo.

Non
era questo lo spirito dei fondatori. Grandi o piccoli che fossero,
gli stati nazionali avevano uguale dignità e si assumevano uguali
responsabilità, erano disponibili a cedere una quota di sovranità
pur di costruire questa nuova grande casa comune.

Il
ruolo dell’Italia in questo contesto era particolarmente
importante: un fondatore a tutti gli effetti, i cui cittadini
“sognavano” l’Europa, e non solo per i contributi economici che
ricevevano. Mai i fondatori dell’Europa avrebbero fatto un
bilancio ragionieristico di dare e avere, mai avrebbero eccepito
“interessi nazionali” per bloccare l’avanzamento del percorso
unitario. Questo spirito ebbe ragione delle riserve francesi alla
CED, delle riserve tedesche all’Euro, di molti interessi economici
nazionali, del serpente monetario, alla fine produsse la Moneta
Unica, consentì l’avanzamento del ruolo del Parlamento Europeo e
di accendere la grande scommessa dell’allargamento ad est.

L’Italia
non è troppo grande per soffocare e neppure troppo piccola per non
pesare, è un partner importante con una sua storia e, in passato,
con una sua credibilità. La rinuncia a quote di sovranità è stata
per noi più facile che per altri, perché era una rinuncia vera,
bilanciata da un prestigio maggiore dei suoi numeri. Proponeva le
scelte giuste per un’Europa più forte, poteva, e ancora potrebbe,
svolgere un ruolo di raccordo tra le nazioni di maggior peso
economico, militare e politico, e gli altri paesi. Garantirne le loro
specificità nel quadro di un rapporto costruttivo e aggregativo.

Purtroppo
negli ultimi tempi non è andata così. Il governo nazionale non è
più all’avanguardia nell’affermazione dei diritti europei,
ascolta le sirene della sovranità statale, ragiona in termini di
dare e avere senza proporre scambi a più alto livello ideale tra
sovranità e solidarietà tra popoli d’Europa.

Il
risultato è quello che oggi non si conta più per il nostro
prestigio e la nostra storia, ma solo per il nostro peso economico,
che come si sa, è molto inferiore a quello di altri Stati. Non ne
perde solo l’Italia, ne perde il sogno di tutti gli Europei.

 
 
 
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