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n.3/2012 Tunisia: il rischio clandestinità

TUNISIA: IL RISCHIO CLANDESTINITÀ
Di Vittorio Guandalini, già consigliere di delegazione della Commissione europea a Tunisi

Tre giorni dopo l?uccisione dell?Ambasciatore americano nella vicina Libia, l?undici settembre, una folla, dove prevalevano i Salafiti di Tunisia, rappresentanti di un?espressione puritana dell?Islam che si richiama ai comportamenti in uso ai tempi del Profeta Maometto, ha dato l?assalto all?Ambasciata Americana di Tunisi. Quattro degli assalitori sono stati uccisi dalla polizia, o dall?esercito secondo altri, e la folla dispersa.

L?incidente tuttavia coinvolge pesantemente gli islamisti moderati di Ennhada, il partito di
maggioranza relativa in una coalizione governativa che comprende anche due partiti laici.
Gli oppositori accusano da tempo Ennhada di essere troppo conciliante con i Salafiti tunisini. Gli uomini d?affari del paese sono stati molto contrariati dall?episodio dell?attacco
all?Ambasciata; essi sperano dagli Americani investimenti e sostegno ma il personale dell?Ambasciata è stato evacuato e rimangono solo pochi funzionari. L?immagine della Tunisia per il turismo e gli investimenti è stata pesantemente offuscata.

In effetti i Salafiti tunisini si declinano su uno spettro assai vasto. Alcuni di loro si proclamano Salafiti della Guerra Santa e proclamano che la violenza è il solo mezzo per
raggiungere i loro scopi. Altri affermano che i loro fini devono essere raggiunti per via politica. Un partito che rappresenta quest?ala moderata del salafismo è stato riconosciuto ufficialmente all?inizio dell?anno. Il messaggio salafita si sta affermando nelle città con un?alta disoccupazione giovanile indipendentemente dal fatto che siano o no presenti un
nucleo salafita locale sostenuto da abili predicatori.

Il numero di tunisini ai quali si possono attribuire simpatie o militanza salafita dovrebbe aggirarsi intorno alle diecimila unità, ivi compresi milleottocento prigionieri politici liberati dalla rivoluzione di gennaio 2012. Ma è la minoranza “jihadista” che preoccupa le Autorità.
Lo scorso febbraio l?esercito tunisino presso Sfax ha intercettato un carico d?armi contrabbandato dalla Libia da salafiti tunisini. Le armi secondo un portavoce del Ministero
dell?Interno dovevano costituire una riserva in vista di un tentativo di costituire un Emirato
Salafita in Tunisia.
Il problema di Ennhada è costituito dalla difficoltà di distinguere la sua ala più conservatrice da quella dei Salafiti moderati. Numerosi membri di Ennhada argomentano
che molti Salafiti sono persone per bene e buoni tunisini che si limitano ad adottare un?interpretazione più rigorosa dell?Islam. I canali di comunicazione fra Ennhada ed i predicatori Salafiti sono mantenuti aperti, perfino con il famigerato Abu Iyad capo del gruppo Ansar-al-Sharia. Questo gruppo è quello fortemente sospettato, in Libia, di aver organizzato l?attacco al consolato americano di Bengasi. Si pretende, al momento, che Abu-Iyad stia predicando la non violenza malgrado i suoi precedenti Jihadisti in Afghanistan. Il governo nega con scarsa convinzione che vi sia stato un coinvolgimento del notabile islamista nell?attacco all?Ambasciata USA.
Il capo tradizionale di Ennhada, Rachid Gannouchi, che non fa parte del governo, ha  comunicato il famoso film sul Profeta come un abominio e un insulto a tutto l?Islam ma, nel contempo, ha condannato l?attacco all?Ambasciata Americana. I membri di Ennhada al governo invocano azioni decise contro l?ala Jihadista dei Salafiti e iniziative più incisive per
contrastare l?azione di indottrinamento verso i giovani disoccupati dei ghetti più poveri. È comunque opinione comune, in contrasto a un certo pensiero laico, che sarebbe un errore
fatale costringere i Salafiti alla clandestinità.

 
 
 
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